Alla fine di questo mondiale vogliamo provare a tirare le somme sugli elementi politici più interessanti che sono emersi. Prima di tutto vorremmo spendere due parole su quanto sia stata poco analizzata politicamente questa competizione: mai come questa volta c’erano i presupposti per innescare un dibattito tutto politico (e geopolitico) sul calcio e sul rapporto che ha l’occidente col mondo arabo. Purtroppo questo non è stato fatto, colpa anche di una debolezza del mondo della sinistra al quale stesso noi apparteniamo. Per questo, come tanti e tante altre, quando notiamo la mancanza di qualcosa di cui sentiamo la necessità politica/collettiva proviamo a metterci in gioco, dando il nostro contributo. Ci teniamo, quindi, a sottolineare che le nostre sono opinioni di chi si interroga continuamente e vuole appunto dare il proprio contributo, senza alcuna pretesa di salire in cattedra per stabilire quella che sia la verità.
La censura di ogni gesto politico e la bandiera palestinese
Chi ci segue sui nostri social avrà notato che abbiamo ripreso spesso la presenza della simbologia legata alla questione palestinese. In un mondiale nato con la censura di qualsiasi messaggio politico non approvato dal Qatar, in cui persone con qualsivoglia rimando visivo e simbolico alla comunità lgbtq+ o altri simboli politici sono state allontanate dagli stadi, stupisce la presenza – così frequente – di un simbolo fortemente politico quale la bandiera palestinese. Ma allora perché il Qatar ha “permesso” questa presenza? Per rispondere alla domanda dobbiamo inquadrare questi mondiali nell’ottica del progetto di egemonia politica e culturale che il Qatar sta portando avanti nel mondo arabo dalla fine del secolo scorso e più simbolicamente dal 1 novembre del 1996, data di lancio di Al Jazeera, oramai l’emittente televisivo-giornalistica più importante del mondo arabo[1], di cui proprio l’emiro Al-Thani ne è editore. Vale, anche, la pena ricordare, che uno degli eventi più importanti in cui Al Jazeera ha confermato la leadership giornalistica nel mondo arabo è stata nel 2000 la seconda Intifada, evento che ha reso la questione palestinese come cruciale nella creazione di un senso comunitario arabo. Questo, nonostante i governi del mondo arabo stiano di fatto abbandonando la causa palestinese (vedi il Marocco che nel novembre dell’anno scorso ha firmato un accordo storico proprio con Israele per permettere lo scambio reciproco d’informazioni d’intelligence, per promuovere la cooperazione fra le industrie della difesa ed esercitazioni militari congiunte, o si vedano gli Accordi di Abramo già precedentemente siglati da Emirati Arabi, Bahrein e Sudan sempre con Israele), poiché, come testimoniano anche questi Mondiali, tra la popolazione araba resta un incredibile attaccamento alla lotta palestinese contro il genocidio e l’illegittimità dello stato di Israele.
Credevo fosse sportwashing invece era egemonia politica
Una delle prime cose che abbiamo detto, e che confermiamo su questi mondiali, era che il Qatar, stato con un governo fortemente repressivo e liberticida, volesse utilizzare i mondiali FIFA per ripulire il suo volto agli occhi del mondo occidentale. Ma è realmente questo l’intento? In parte crediamo che sia vero, ma nel pensare che sia questo l’unico obiettivo, se prendiamo per valido il ragionamento di egemonia di cui sopra, allora abbiamo commesso il solito errore di inquadrare la vicenda solo ed esclusivamente dal punto di vista occidentale. Come se i mondiali di calcio parlassero solo a noi e non a tutto il mondo; come se non parlassero – appunto – al mondo arabo. Il Qatar vuole dimostrare di essere un paese capace di essere leader per tutto il mondo arabo, capace di contrattare con il mondo occidentale. Vuole dimostrare che il suo modello è valido e potente, e non vuole dimostrarlo (solo) agli occidentali.
La finale dei due fenomeni del PSG di proprietà del qatariota Al-Khelaïfi e sponsorizzato Qatar Airways
L’affermazione del modello Qatar passa, evidentemente, anche per lo sport e più nello specifico per il calcio. Un piano avviato nel 2010 con l’assegnazione dei Mondiali e sviluppato successivamente con l’acquisto del Psg (2011), il lancio dell’emittente sportiva beIN Sport (2012), le sponsorizzazioni di Qatar Airways (2017) e l’affermazione in ruoli chiave di Al-Khelaïfi. Quest’ultimo, infatti, non solo è presidente del Psg ma anche dell’Eca (l’associazione dei club europei) nonché membro dell’esecutivo Uefa e presidente di beIN Media Group. Parliamo di un network televisivo – beIN Sports – che solo negli ultimi anni ha sottoscritto contratti da 600 milioni di dollari con l’Uefa e da 500 milioni con la Premier League per acquisire i diritti della Champions League e il campionato inglese per l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) per il biennio 2024/2025. Il Qatar, inoltre, tramite la Qatar Airways, ha legato il suo nome (ed allargato la sua influenza) a suon di milioni a diversi club tra cui Barcellona, Bayern Monaco e Roma in Europa, al Boca Juniors in Sudamerica, al Club Africain in Nord Africa e all’Al-Ahli e Al Sadd nel mondo arabo. E non è un caso che le sponsorizzazioni ancora in corso hanno per lo più scadenza 2023. Ma la Qatar Airways è servita anche per inondare di milioni le Federazioni: attualmente, infatti, è sponsor di FIFA, UEFA e anche CONMEBOL. Parliamo di investimenti totale nell’arco di questi 12 anni di quasi 220 miliardi di dollari. Se a quanto appena detto aggiungiamo che per la prima volta nella storia di un mondiale una squadra africana – il Marocco – appartenente al mondo arabo è arrivata in semifinale, dato storico importantissimo e che assume un valore assoluto nel contesto del mondiale qatariota e che in finale ci vanno due squadre (che effettivamente meritavano di giocarla) i cui giocatori più talentuosi e con più visibilità mediatica sono sotto contratto proprio con il PSG (Messi e Mbappé) ci rendiamo conto di quanto sia indifferente chi ha alzato la coppa, il vincitore già c’era: il Qatar.
[1] A chi volesse approfondire la questione consigliamo un articolo pubblicato su Internazionale dal titolo “I mondiali in Qatar e un’informazione alternativa sul mondo arabo”. Anche se dal nostro punto di vista l’autrice non affronta il senso politico dell’operazione qatariota.
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