L’11 agosto è finalmente cominciata la “Roshn” Saudi League. Forse il campionato di calcio maschile che in questi ultimi mesi è riuscito a creare più hype ed interesse attorno a sé di qualsiasi altra lega professionistica al mondo. Il perché è presto detto: in una sola sessione di mercato hanno raggiunto CR7 in Arabia Saudita calciatori del calibro di Benzema, Firmino, Manè, Milinkovic Savic, Koulibaly, Kantè e tantissimi altri. E c’è tempo ancora fino al 20 settembre per vedere tante altre stelle del calcio mondiale trasferirsi a Ryad. Un campionato che in Italia sarà visibile in chiaro su LA7 e Sport Italia che trasmetteranno, rispettivamente, una e due partite a settimana. Costo dell’operazione davvero basso, per LA7 si parla di 450.000€ per un accordo biennale, per uno dei campionati che, sicuramente, almeno all’inizio, susciterà maggiore curiosità ed interesse. Una scelta, quella della SAFF (Saudi Arabia Football Federation), che è da leggere nell’ottica dell’operazione di Sportwashing e Soft Power che oramai l’Arabia Saudita porta avanti in maniera abbastanza evidente e – diciamo noi – purtroppo riuscita. Al principe saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, deus ex machina che si “cela” dietro gli incredibili investimenti fatti in questi mesi dai principali club del Paese, non interessava tanto il dato economico relativo alla vendita dei diritti TV (come avviene invece in Europa) quanto assicurarsi la migliore copertura possibile per quello che nei suoi piani deve essere uno dei principali spot per accreditarsi come partner principale e affidabile tanto in Occidente quanto nel mondo arabo. Se consideriamo che, in Italia, a dare manforte a questa operazione è proprio Cairo (presidente del Torino FC e del gruppo RCS) che, in teoria, farebbe parte di quella schiera di dirigenti sportivi italiani “preoccupati” dal doping finanziario causato dall’ingresso prepotente dell’Arabia Saudita in questa ultima finestra di calciomercato che metterebbe a rischio la sostenibilità del mondo calcio per come lo conosciamo oggi, il quadro che ne viene fuori diventa ancora più eloquente: se si fiuta un affare che può rendere economicamente ancora di più ci si fionda anche a costo di sacrificare o ridimensionare quelli fatti in precedenza con buona pace di tutto e tuttə. Ed è in quest’ottica che bisogna leggere la scelta del gruppo Cairo di non riacquistare i diritti TV del campionato di calcio femminile e spostare il proprio investimento in direzione della Saudi League. Questa, del resto, è la più ovvia delle conseguenze legate al fatto di vivere in una società la cui pietra angolare è rappresentata dal denaro per cui anche uno sport, come il calcio, è stato ridotto a “prodotto” da inserire sul mercato per generare profitto. Una degenerazione accentuata ulteriormente dall’avere una classe dirigente ed intellettuale totalmente inadeguata e per certi versi prona al dio denaro per cui ogni ragionamento o scelta in controtendenza sarebbe anche solo potenzialmente inimmaginabile. Così il campionato di calcio saudita sbarca in Italia con l’intenzione, neanche tanto nascosta, di diventare nel giro di pochissimi anni il nuovo polo attrattivo per il calcio mondiale riuscendo forse nel tentativo – ad oggi mai riuscito a nessuno – di scardinare un sistema (quello calcio) di potere economico e politico dichiaratamente eurocentrico. E chissà se almeno in quel momento si riuscirà a tirare giù una linea di demarcazione tra chi fintamente gridava al pericolo mettendo poi a profitto l’ennesima occasione e chi realmente provava ad opporsi ad una ulteriore commercializzazione e strumentalizzazione di uno degli sport più popolari ed amati al mondo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending