Spero di poter aprire questa porta ad altre, alle donne arbitro palestinesi – e anche agli uomini – da selezionare in futuro.
Domenica 20 agosto è terminato il Mondiale di Calcio femminile che ha visto, per la prima volta nella sua storia, vincere la Spagna che ha battuto 1 a 0 l’Inghilterra grazie ad un goal di Carmona Garcia alla mezz’ora di gioco. Un Mondiale che ci ha regalato diverse storie, una delle quali è stata – senza dubbio – quella di Heba Saadieh, la prima donna palestinese ad arbitrare in un Mondiale di calcio. Una notizia riportata dai principali giornali sportivi e non, da riviste al femminile passando per siti di informazione e tantissimi altri ancora. Una notizia per certi versi clamorosa che, però, ci sembra essere stata trattata – come spesso accade – in maniera abbastanza strumentale e soprattutto a mo’ di gossip rosa, andando sistematicamente ad eliminare dalla narrazione che ha accompagnato la notizia ogni riferimento (e ce ne sono veramente tanti) scomodo ed ipoteticamente dirompente.
La nazione di provenienza
Parliamo, innanzitutto, di una donna palestinese, la cui terra d’origine è sotto occupazione israeliana, con il benestare di tutto il mondo occidentale. Un luogo dove anche solo giocare a calcio diventa impresa ardua, dal momento che Israele impedisce a chi vorrebbe intraprendere questa carriera di farlo. Gli spostamenti della nazionale di calcio sono sottoposti a restrizioni, gli stadi e i campi da calcio sono continuamente bombardati dalle forze di difesa e molti dei calciatori più promettenti sono stati spesso detenuti, feriti, resi disabili in maniera permanente o uccisi dopo gli attacchi e i raid delle forze israeliane. È il caso di Mahmoud Sarsak, imprigionato in Israele senza alcun processo o accusa, che nel 2012 condusse tre mesi di sciopero della fame per protesta prima di essere liberato. Ma è anche la storia di Jawhar Nasser e Adam Halabiya, anch’essi calciatori palestinesi che nel 2014 sono stati gambizzati ad un checkpoint israeliano in una delle zone occupate. O ancora quella di Ahmed Daraghmeh, morto ucciso da un raid israeliano nel dicembre del 2022. Non è un caso, dunque, che la carriera di Heba Saadieh si sia sviluppata completamente al di fuori dei confini palestinesi: a Damasco dove prima si laurea in Educazione Fisica e poi muove i primi passi nel mondo arbitrale, allenandosi con alcuni colleghi maschi; in Malesia dove, però, tra battutine e sessismo la sua carriera sembra volgere al termine e in Svezia dove giunge tramite un programma di reinsediamento dei profughi delle Nazioni Unite. Nel 2016, finalmente, ottiene la licenza da arbitra internazionale per la FIFA e può cominciare ad arbitrare nelle più importanti competizioni internazionali.
L’ipocrisia del mondo occidentale
Se questa è la situazione che si vive in Palestina e che vivono ə palestinesə non si può fingere che i principali Paesi occidentali non abbiano le proprie responsabilità e che non siano complici di un genocidio che va avanti da oltre 70 anni. I giornali che si sono interessati alla storia della giovane Saadieh sono gli stessi, del resto, che tacciono quando c’è da denunciare le politiche violente e razziste di Israele, che normalizzano torture, arresti ed omicidi perpetrati ai danni də palestinesə, che evitano di evidenziare le assurde ipocrisie che legano il nostro Paese ad Israele, che non dicono nulla sul fatto che la sola Italia tra il 2016 e il 2020 ha venduto armi semiautomatiche, bombe e missili, strumenti per la direzione del tiro e apparecchi per l’addestramento militare ad Israele per un giro d’affari di quasi 100 milioni di euro.
L’ipocrisia della FIFA
Se l’Occidente ha le sue responsabilità, la FIFA non è da meno: nel 1948 – anno dell’occupazione israeliana della Palestina – ha immediatamente riconosciuto Israele e la sua nazionale mentre ha aspettato fino al 1998 (dal 1962 anno di fondazione della Federazione Calcistica Palestinese) per riconoscere l’esistenza di quella palestinese. Per non parlare del fatto che, sebbene per la geografia calcistica mondiale Israele farebbe capo all’Asia, gioca regolarmente le competizioni FIFA (ma anche UEFA) europee, ennesima dimostrazione di come anche attraverso il calcio si provi a normalizzare e legittimare un’occupazione violenta ed illegale, e che proprio la FIFA ne sia assoluta protagonista. La stessa FIFA che, tra l’altro, per non smentirsi, avrebbe tranquillamente permesso all’Arabia Saudita tramite l’ente turistico Visit Saudi di essere tra i main sponsor di questo stesso mondiale, se non ci fosse stata la ferrea opposizione delle federazioni dei paesi organizzatori e di diverse calciatrici. Quell’Arabia Saudita che sistematicamente umilia e nega anche i più basilari diritti civili e politici alle donne, ritenute “non all’altezza”, avrebbe così fatto da sponsor ad una competizione sportiva femminile…
Cosa ci insegna la storia di Saadieh e la sua narrazione
Siamo, ovviamente, contentə che una giovane donna palestinese abbia calcato un palcoscenico così importante e riaffermato con la sua sola presenza l’esistenza della Palestina così come speriamo possa diventare riferimento e simbolo per tante altre donne, palestinesi e non, che vogliano intraprendere questo percorso come stesso lei ha affermato: “Spero di poter aprire questa porta ad altre, alle donne arbitro palestinesi – e anche agli uomini – da selezionare in futuro“. E provare perché no a ribaltare i rapporti di forza in quello che ad oggi resta un regno per soli maschi. Ma più di ogni altra cosa ci preme evidenziare come si debba provare a raccontare questa storia dalla giusta prospettiva, evitando che diventi l’ennesima occasione persa per cambiare realmente le cose, e che la FIFA la utilizzi per proiettare un’immagine di sé positiva, ponendosi come un’Istituzione progressista ed attenta alle questioni di genere (così a come quelle di razza), equidistante se non addirittura aperta verso la risoluzione di un conflitto che per quel che ci riguarda può avere un solo epilogo. La FIFA è da tempo che, approfittando della posizione di potere in cui è, alimenta e tollera dinamiche violente, razziste e sessiste e non può essere la presenza di un arbitro donna e per giunta palestinese a ripulire in un solo colpo anni ed anni di ipocrisie.





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