Questa sera con la sfida tra Napoli ed Inter terminerà la 36esima edizione della Supercoppa Italiana. Per la quarta volta la competizione si è giocata in Arabia Saudita, dopo le edizioni del 2018, del 2019 e quella dello scorso anno. Per la prima volta in assoluto, invece, il format ha previsto una final four al posto della classica finale in partita unica. Ad aver partecipato alla competizione le vincitrici nonché le seconde classificate di Serie A e Coppa Italia. Una riforma della competizione fortemente voluta dall’Arabia Saudita che per questa edizione ha siglato un contratto con la Lega Calcio da ben 23 milioni: 8 dei quali finiranno nelle casse dei vincitori, 5 in quelle dei secondi ed 1,6 a testa per le due semifinaliste sconfitte. Senza considerare gli introiti derivanti dai diritti TV. Un accordo supermilionario che si porta dietro non poche polemiche a cominciare dalle date individuate per lo svolgimento della competizione, inizialmente prevista per il 4-8 gennaio. Slittamento che ha provocato i mugugni soprattutto di Fiorentina e Napoli che avevano inizialmente minacciato di non partecipare alla competizione adducendo due motivazioni che ci devono spingere a qualche riflessione.La prima era relativa ai tempi di recupero ritenuti insufficienti per affrontare al meglio gli impegni di febbraio, leggasi coppe europee, che come sappiamo sono l’altra grande fonte di guadagno nel calcio di oggi. La seconda, invece, atteneva la sfera geopolitica e le preoccupazioni relative all’instabilità dell’area medio-orientale e alla nuova escalation di violenza in Palestina. La Lega dal canto suo non ha mai messo in discussione la presenza dei club italiani in quel dell’Arabia Saudita ed anzi pare che avesse anche già preallertato Milan e Atalanta – quarta e quinta classificata dell’ultimo campionato di Serie A – per eventualmente sostituire Napoli e Fiorentina.
Uno scontro tutto interborghese
Sgomberiamo subito il campo da inutili infatuazioni: chi come Fiorentina e soprattutto Napoli avrebbe voluto giocare la Supercoppa in Italia, utilizzando quella retorica secondo cui il calcio di un tempo sarebbe “migliore”, “più a misura d’uomo” e che una competizione italiana debba svolgersi sul suolo italico, voleva farlo per semplice convenienza, per tutelare il proprio investimento. Non è un mistero, ad esempio, che gli asset finanziari fondamentali della SSC Napoli ruotino attorno alle plusvalenze e agli introiti derivanti dalla partecipazione alle coppe europee. E si sa che più si va avanti, soprattutto in Champions, più soldi entrano nelle casse di un club. Champions che riprenderà proprio poco dopo l’impegno in terra saudita e che vedrà il Napoli impegnato in una sfida decisamente complicata contro il Barcellona. Parliamo, tra l’altro, di un presidente, De Laurentiis, che è uno dei più grandi sostenitori della necessità di rivoluzionare il mondo del calcio a partire dalla serie A:

“Facciamo un campionato a 16 squadre, con una sola retrocessione. Ne guadagneremmo tutti: più entrate, nessuna necessità di imbrogliare e maggiore competitività in Europa. Vanno bene anche diciotto squadre, ma le dobbiamo scegliere noi sette chi sono queste diciotto”. Queste le parole rilasciate dal numero uno del Napoli meno di qualche mese fa che non lasciano spazio ad alcun pensiero romantico o nostalgico. Anzi. Parole che in Lega avevano trovato l’appoggio del solo Lotito che, però, a dimostrazione di come ognuno badi ai propri interessi e profitti, sulla questione Supercoppa in Arabia ha una visione diversa da quella dell’imprenditore cinematografico proprietario del Napoli: “Ci sono tutte le condizioni per un salto di qualità nell’organizzazione e nelle risorse in campo internazionale. Questo evento ci garantirà grande visibilità, visto che ci saranno 180 paesi collegati, c’è una globalizzazione del brand del calcio italiano ed in particolar modo della Lazio“, le sue dichiarazioni a Radio TV Serie A. Per una squadra come la Lazio, che non sempre riesce a qualificarsi per la Champions League, insomma, internazionalizzare e mettere maggiormente a profitto una competizione come la Supercoppa, allargando – tra l’altro – la partecipazione a 4 squadre e portandola all’estero, è un ottimo modo per rimanere in scia delle squadre più blasonate o con maggiori disponibilità economiche, mettendo a bilancio incassi che altrimenti sarebbero difficili da fare. Sulla stessa lunghezza d’onda l’AD dell’Inter, Giuseppe Marotta, che da Riyad ha parlato positivamente della scelta della Lega: “È il primo esperimento di una nuova formula, è certamente più stimolante sia dal punto di vista economico, perché consente a quattro squadre di avere un tornaconto, sia per la valorizzazione del prodotto calcio all’estero. Poi, a tempo debito, andrà fatta una valutazione sulle ripercussioni che un torneo come questo può avere dal punto di vista dello stress fisico“. A completare il quadro, non potevano mancare, ovviamente, le parole di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, che ai microfoni di Mediaset prima del fischio di inizio di Napoli vs Fiorentina ha voluto evidenziare la bontà della scelta: “C’è una modalità più varia che crea più tensione garantendoci due belle semifinali e una fantastica finale. E’ una formula che funziona, tutti hanno capito venendo qua che il livello delle strutture è buono, sta crescendo il calcio, è un mercato nuovo e noi abbiamo l’obbligo d trovare tifosi in giro per il nostro calcio“. Dichiarazioni che chissà come saranno risuonate alle orecchie di quella parte di tifoseria napoletana e fiorentina, che aveva manifestato pubblicamente il proprio disappunto per la scelta di disputare la competizione in Arabia Saudita, impedendo – di fatto – la presenza di chi ogni settimana segue e sostiene la propria squadra del cuore. Una scelta figlia della trasformazione del calcio in prodotto sempre più internazionalizzato che prevede, per l’appunto, la rottura del vincolo tra squadra (non società) e tifoseria, la cui rappresentazione principale è proprio la distruzione del legame fisico che si crea negli stadi in occasione delle partite.
L’ipocrisia del calcio italiano
Riteniamo giusto, dunque, criticare la classe dirigente che rappresenta il calcio italiano (ministri, dirigenti della Lega e presidenti delle società) per la loro incredibile ipocrisia e per l’aver coscientemente deciso di mettere nelle mani del miglior offerente uno sport capace di parlare a centinaia di milioni di persone, rendendolo – di fatto – lo strumento ideale attraverso cui decine di Stati portano avanti le loro operazioni di sportwashing e soft power. “Siamo in un contesto gradevole, abbiamo trovato strutture adeguate, sarà un bello spettacolo questa Supercoppa”. Riportiamo quest’altro stralcio delle dichiarazioni rilasciate da Beppe Marotta direttamente da Riyad perché assieme alle motivazioni con cui Napoli e Fiorentina avevano provato ad opporsi alla Supercoppa in Arabia Saudita ci spingono ad un’ulteriore riflessione, questa volta più squisitamente politica e che rimanda alla “responsabilità sociale” che il calcio, in quanto fenomeno di massa, porta con sé. A dare ulteriore spinta ad un ragionamento in questa direzione sono le parole – allucinanti – pronunciate dal ministro dello sport Abodi:

“Prendo spunto da questa Supercoppa italiana di calcio per dire: non è soltanto la ricerca di un montepremi. Ma il contributo anche all’obiettivo, che va perseguito, della democrazia e dell’affermazione del rispetto in tutte le sue forme. Lo sport è sempre stato uno straordinario strumento di diplomazia, ed è stato anche uno strumento capace di sfidare i potenti e i prepotenti nella sua storia. Quindi se da un lato ci può essere la preoccupazione di andare in luoghi dove la democrazia, i diritti umani, non vengono pienamente rispettati, io penso che noi dobbiamo saper cogliere l’altro aspetto: la capacità di illuminare quei luoghi, responsabilizzarli e contribuire all’alfabetizzazione civile”. Crediamo, a differenza di quel che afferma il Ministro, che aver deciso – non oggi ma anni fa – di trasformare il calcio, e la passione che ne deriva, in merce da cui trarre enormi profitti da cui nasce l’esigenza di “offrire la possibilità” di ospitare eventi di portata internazionale quali una Supercoppa nazionale (per non parlare dei Mondiali di Calcio) a Paesi dove vengono negati anche i più basilari diritti così da permettere loro di mostrare “un volto diverso, migliore e pulito”, in cambio di un bel po’ di milioni, sia un grandissimo errore di cui qualcuno dovrà rendere conto. Le Olimpiadi del 1930, i Mondiali di Argentina ‘78 o i più recenti di Qatar 2022, solo per rimanere nel campo delle grandi competizioni sportive internazionali, avrebbero dovuto insegnarci qualcosa. Chi parla di capacità di illuminare quei luoghi, responsabilizzarli e contribuire all’alfabetizzazione civile, mente sapendo di mentire visto che, da quel che ci risulta, né il governo italiano né tanto meno la Lega Calcio hanno in essere azioni, politiche o progetti che possano anche solo lontanamente scalfire la natura antidemocratica di uno stato come l’Arabia Saudita. E soprattutto non vi è traccia di accordi, paletti o clausole per ottenere le giuste garanzie in termini di rispetto dei diritti e delle libertà di ogni essere umano a suggellare accordi che – al di là di quel che Abodi e De Siervo possano dire – sono di natura prettamente economica e politica. Possiamo citare, se quanto detto in precedenza potesse non bastare, il caso diplomatico scoppiato tra Turchia ed Arabia Saudita in occasione, proprio della Supercoppa di Turchia che si sarebbe dovuta giocare sempre a Riyad e che avrebbe dovuto vedere sfidarsi il Galatasaray e il Fenerbahçe. Usiamo il condizionale perché quella partita non è mai andata in scena a seguito del divieto imposto dalle autorità saudite di esporre qualsivoglia simbolo che rimandasse al patriottismo turco, compreso lo striscione “Pace in casa, pace nel mondo” – motto riconducibile a Kemal Atatürk ma buono anche per denunciare quanto sta accadendo da mesi a questa parte in Palestina (e sappiamo bene quanto la Turchia stia cavalcando la questione palestinese per ritagliarsi ulteriore spazio in quella porzione di mondo e quanto al contrario l’Arabia Saudita stia provando a tenere un profilo basso a riguardo per evitare di compromettere gli importanti passi in avanti fatti nella normalizzazione delle relazioni con Israele) che le due tifoserie turche avevano annunciato di voler esporre. Tutto questo a dimostrazione che non siamo di fronte ad uno Stato che viene a chiedere qualcosa con il cappello in mano, né che pensa di dover essere illuminato, responsabilizzato o che necessiti di alfabetizzazione civile. Siamo, piuttosto, dinanzi a uno stato che a suon di milioni di dollari sta portando avanti la sua strategia di sportwashing e softpower senza considerare alcun tipo di mediazione o passo indietro su quelle che sono le leggi che regolamentano la vita interna al Regno. Al massimo, diremmo che c’è la pretesa, neanche tanto velata, che l’occidente chiuda entrambi gli occhi su quel che avviene lì proprio in cambio di quei milioni di dollari che così generosamente Riyad offre a diversi governi occidentali per ospitare alcune competizioni sportive. Ci domandiamo – quindi – alla luce di tutto ciò, se quando Beppe Marotta afferma di trovarsi in un ambiente gradevole si riferisce al fatto che in Arabia Saudita (ma non solo eh!) si ricorre sistematicamente all’accusa di terrorismo per infliggere pene severissime a chi si oppone al regime di Mohammed bin Salman, come accaduto a Nourah al-Qahtani, condannata a 45 anni di prigione con l’accusa di “aver usato internet per lacerare il tessuto sociale” e di “violazione dell’ordine pubblico”, per alcuni suoi post social in cui criticava le politiche di Riyad in tema di diritti delle donne. O se, più probabilmente, si riferisce all’inasprimento delle leggi contro chi fa parte della comunità Lgbtqia+, o al fatto che l’omosessualità così come la transessualità siano ritenute illegali e punibili con l’arresto se non addirittura con la pena di morte. O chissà se l’AD dell’Inter si riferisce al sistematico sfruttamento della manodopera migrante, ridotta in schiavitù a suon di violenze verbali e psicologiche che sfociano – spesso e volentieri – anche nel sequestro dei passaporti e dei documenti personali. L’aver piegato il calcio ad esigenze di mercato rendendolo a tutti gli effetti uno strumento per ridefinire rapporti di forza geopolitici utili solo a chi ha tutto l’interesse ad accrescere la propria sfera di influenza, sia essa economica o politica, a danno di quelle che sono le passioni nonché le libertà e la vita di milioni e milioni di persone è qualcosa di inaccettabile. Per questo ci auguriamo che criticare la Supercoppa, criticare il fatto che si giochi in Arabia Saudita, possa servire per un avanzamento ed una presa di coscienza collettiva che ci possa mettere nelle condizioni di immaginare un mondo migliore. Ed allora critichiamo la scelta della Lega di aver trasferito la Supercoppa in Arabia Saudita ed agiamo di conseguenza: chiediamo, ad esempio, al governo italiano di troncare immediatamente i rapporti economici che legano Roma e Riyad. Smascheriamo quella politica che blatera di democrazia e diritti ma che non si fa problemi a stringere mani sporche di sangue. Come quello del giornalista – Jamal Kassogi – trucidato all’interno dell’ambasciata Saudita ad Istanbul, dagli uomini del principe ereditario Muhammad bin Salman, per aver osato criticare la famiglia reale. O come quello delle oltre 1250 persone condannate a morte e giustiziate da quando il principe ereditario è alla guida dell’Arabia Saudita. Facciamo pressione sulle istituzioni calcistiche affinché si metta un freno alla commercializzazione di quello che un tempo era il gioco più bello al mondo. Affinché si smetta di dare il fianco ad operazioni di sportwashing, con cui veri e propri criminali si ripuliscono il volto e la reputazione. Facciamoci sentire affinché nessuno più speculi economicamente e politicamente sulla passione e sulla vita di milioni di persone.
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