Il caso Juan Jesus-Acerbi si è chiuso con un nulla di fatto, almeno sotto il profilo della giustizia sportiva. Nessuno ha sentito quello che ha detto Acerbi, ma nessuno pensa che Juan Jesus se lo sia inventato. Quindi amici come prima e si va avanti senza aver di fatto né risolto né analizzato dalla giusta prospettiva la questione. Acerbi in un’intervista afferma che sul campo si dice di tutto, e che – quindi – non si può fermare o essere sanzionati per ogni cosa perché se l’arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente, dovrebbe correre con lo zaino. Però finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani, alle madri.
E lo ha detto in un’intervista al Corriere della Sera, uno dei giornali italiani più letti ed importanti d’Italia, come se fosse una cosa normale. Ancora una volta la performance dell’uomo bianco maschio che è preso dai suoi istinti primordiali quando è sotto stress ritorna sui nostri schermi e noi automaticamente accettiamo questa spiegazione. La teoria su cui si fonda, del resto, non è nuova: non si insulta una persona nera in quanto persona nera e dunque perché si è razzisti, lo si fa perché è il contesto, la partita, i nervi tesi. Vuoi che in quella situazione un “n***o” non ci scappi?
Questa visione di un fenomeno decisamente più complesso, che a questo punto, ci sembra essere la posizione dominante e riassumibile con il trito e ritrito “il razzismo è un’altra cosa!” necessita di una domanda ulteriore: che cosa intendiamo veramente con questa frase? Che cosa ci immaginiamo in Italia, nel 2024, quando pensiamo al razzismo? Noi crediamo che su questo punto ci sia un grosso problema sia fuori dagli stadi che all’interno. Questo modo molto italiano di relegare la questione linguistica ed espressiva delle discriminazioni a una questione secondaria, a puro wokenismo, la deriva del politicamente corretto è una pratica molto pericolosa. É chiaro che insultare una persona per motivi razziali o semplicemente territoriali, picchiarla, ammazzarla o discriminarla non affittandole casa sono azioni diverse, che anche nella giurisprudenza si devono convertire in pene e ammende diverse. Ma questo non significa che non siano tutte in modo diverso, gravi, da condannare e soprattutto di matrice razzista. Della questione Juan Jesus – Acerbi una cosa non è sufficientemente chiara: se l’interista quella frase non l’ha mai pronunciata, per logica dovrebbe significare che Juan Jesus se l’è inventata, giusto? E quindi dovrebbe essere punito secondo il regolamento. Se su questo ragionamento siamo d’accordo e constato che ciò non è avvenuto, allora cos’è avvenuto veramente? Non è che forse questo lassismo, queste maglie larghe rispetto a quello che è o non è razzismo, questa nauseabonda differenziazione tra ciò che si può dire e fare in campo o sugli spalti di uno stadio e quel che si può dire e fare al di fuori del perimetro di uno stadio, hanno fatto sì che si arrivasse a questa decisione? Ci sembra che quello che ci racconta questa storia è che come Paese e come società gli anticorpi verso i gesti razzisti non li abbiamo ancora sviluppati a sufficienza e quindi punire Acerbi sarebbe stato visto come esagerato, come qualcosa di ingiusto, perché alla fine avrà solo detto “n**o”… e che sarà mai! Francesco Acerbi, in fondo, non è uno che va a picchiare i neri per la strada, è un difensore della Nazionale italiana, una persona anche con un passato piuttosto difficile, e quindi sicuramente un bravo ragazzo, no?
In Italia, e nello sport/calcio in particolare, esiste quindi un’idea decisamente distorta rispetto a quello che è accettabile o meno dire ma soprattutto a quello che ci rende o meno razzisti. Forse dovremmo iniziare a pensare che lo siamo tuttə, perché siamo cresciutə e perché viviamo in una società le cui stesse sovrastrutture sono razziste. Cresciamo in una società la cui cultura ci descrive il nero come il diverso e quindi cattivo, basti pensare all’uomo nero delle ninna nanne, come lo schiavo, come l’essere più vicino all’animalesco che esiste, come lo stupratore, come qualcuno preso da istinti, come un senza cultura. Non è una colpa essere cresciuti così, ma è una responsabilità sapere di quali privilegi e stereotipi si è portatori. Solo così, del resto, crediamo che ognunə di noi possa lottare con i propri demoni e provare a diventare una persona migliore, meno influenzabile e meno legata a quelle sovrastrutture che regolano il nostro mondo e lo rendono, oggettivamente, un luogo fortemente discriminatorio, violento ed ingiusto.
Il gesto di Acerbi, il suo atteggiamento e le sue parole post-assoluzione denotano solamente una cosa: il sentirsi superiori rispetto a un’idea di razzismo astratta e legata ad aneddoti estremi. Il suo affermare “il mio idolo era George Weah, e quando mi fu trovato il tumore ricevetti una telefonata a sorpresa da lui che ancora oggi mi emoziona” è la più classica delle affermazioni di chi è intrinsecamente razzista ma che, probabilmente, non ha percezione di ciò. È la versione rivisitata di: “ho tanti amici neri”! Ma questo non basta perché il razzismo in Italia è la norma. La nostra quotidianità è piena di racconti e di dati che ci dicono che le persone nere in Italia subiscono discriminazioni di vario genere ogni giorno, che sono vittime di micro aggressioni, di commenti razzisti, di sguardi e battute. Valutare il gesto di Acerbi rispetto a questo contesto, forse, sarebbe stato molto più utile e probabilmente ci avrebbe anche permesso di progredire come società, di acquisire maggiore consapevolezza di un fenomeno in continua espansione, avrebbe creato dei nuovianticorpi e avrebbe evitato di rafforzare l’idea che Juan Jesus si sia inventato tutto o che peggio ancora abbia frainteso una “normale” offesa di campo con un’offesa razzista! Se questa situazione è capitata a un personaggio come Juan Jesus con mezzi e voce per farsi sentire, immaginiamo cosa potrebbe significare questo per le persone comuni con meno possibilità e visibilità, ma con molto più bisogno di riscattare quell’ingiustizia. Ed è per questo che dal caso Acerbi – Juan Jesus ne usciamo sconfittə e – paradossalmente – più razzistə di prima avendo rimarcato un concetto che possiamo riassumere così: sei sei nero e ti insultano, non ti scomodare a denunciare, non è nulla di grave!
Lascia un commento